mercoledì 28 dicembre 2011

La scrittura sciolta


“Fate entrare il venerando maestro” ordinò l’imperatore seduto sul letto di morte. L’artista si presentò al suo cospetto e si chinò a baciare le onorevoli babbucce imperiali.
“Avete riflettuto sul vostro compito?” chiese l’imperatore con un rantolo di voce. I suoi baffi filiformi, lunghi fino alla crosta dell’ombelico, erano immobili come stalagmiti, l’espressione del volto era inesplorabile, i solchi sul viso erano letti di fiume lavico, il torso un’esile punta di roccia.
“Ho indegnamente riflettuto.” disse il venerando maestro “Sua Vertiginosa Altezza mi ha chiesto di fondare una forma d’arte che possa ricordare il Suo nome e il Suo impero alle civiltà che verranno.”
“Tale è il mio desiderio.” spifferò la voce imperiale aprendosi un varco fra le stalagmiti.
“Io dunque propongo a Sua Infinità di promuovere una nuova forma di scrittura.” 
“Un’altra?” alitò l’imperatore.
“Sì, ma questa sarà una scrittura sciolta. Non sarà l’inchiostro a seccarsi sulla pergamena. Non sarà lo scalpello a incidere la pietra. Sarà l’acqua, invece, la pagina su cui versare il colore. Ha mai riflettuto, Sua Eternità, sul colore dell’acqua?”
“L’acqua non ha colore” decretò il sovrano.
 “L’acqua prende i colori delle cose su cui scorre, che intorno a lei si muovono, che dal cielo lontano si specchiano. E questi colori si sciolgono, si dilatano, si contraggono, e le forme si torcono, si distorcono e si riformano, in continuazione, senza fissità. Ogni parola che verrà messa per iscritto in un istante, un istante dopo sarà sciolta in una nuova forma; nel giro di qualche secondo, una poesia potrà divenire legge per poi erigersi a sistema filosofico e improvvisamente mutarsi in dramma o appunto o trattato.”
“Affascinante” fiatarono le labbra imperiali, tutto il resto restando immoto. “E come potrebbe mai avvenire questo miracolo?”
“Le acque dei fiumi saranno le nostre biblioteche. Per nostra fortuna – e certamente per l’efficacissima intercessione di Vostra Entità Imperiale con la divinità – ne abbiamo grande abbondanza. Quella che per me sarà poesia, scritta su un versante del fiume, per un altro che legge dall’altro versante sarà un trattato di logica matematica. Tutto ciò avverrà a onore del fluire, del divenire, del creare, e in definitiva, della vita stessa.” concluse l’artista chinando il capo.
Le palpebre imperiali franarono come macigni sull’apertura di due grotte. Pareva assopito sul vertice di una piramide millenaria, costruita su pietre granitiche, su testi sacri inconfutabili, su leggi perfette immodificabili, sulla reverenza verso avi sapienti, inventori di regole eterne, che fin dalla remota età d’oro della fondazione dell’impero furono sanguinosamente fatte rispettare. Senza che un solo baffo calcareo si mosse, esalò di fronte al gran generale dell’esercito le sue ultime elevatissime parole:
“Sia condannato a morte.”

mercoledì 21 dicembre 2011

La macchina della luce


Il viandante, con voce tremula infreddolita, finalmente parlò.
“Vi prego, accoglietemi fra voi. Non ho più intenzione di fuggire dal calore della vostra macchina. Contribuirò, anzi, a farla funzionare. Mi basta questo, credete, un po’ di caldo e un po’ di luce.”
Il direttore dei lavori squadrò il viandante in tutta la sua lunghezza. “Sei cresciuto in tutto questo tempo” disse, “ci hai lasciato sbarbatello in cerca di avventure e adesso torni in cerca di sicurezza. Dicono che sia segno di maturità.”
“Posso parlare con onestà? Sono partito perché non sopportavo i saccenti professori sacerdoti innamorati di questa meravigliosa macchina produttrice di luce, che davano ben più importanza alla macchina che alle cose illuminate. Mi struggevo nel vedere i loro discepoli venerare la macchina miracolosa e credere che tutto il conoscibile fosse circoscritto qui, entro il suo raggio luminoso.”
“Nessuno ha mai creduto che la macchina sia in grado di illuminare tutto.”
“Però tutti si comportano come se ci credessero, come se questo fosse l’unico strumento che abbiamo a disposizione per guardarci intorno.”
“E’ l’unico strumento che conosciamo.”
“Nessuno ha mai avuto la curiosità di inventarne altri. E io sono partito per questo, per provare a cercare nuove macchine, nuovi punti di vista, nuovi orizzonti conoscibili, nuove interpretazioni.”
“Decisione avventata, tipica di un giovane idealista” commentò il direttore dei lavori porgendogli uno strofinaccio. “Lucida bene questa rotella, per cortesia.”
“Ho esplorato con passione indefessa,” proseguì il viandante cominciando a lucidare, e con una punta di dignità nella voce tremolante aggiunse: “Posso almeno sostenere, come risultato della ricerca, che voi non potete avere alcuna idea di quanto è immensa l’oscurità. Se aveste almeno una vaga idea di questa immensità, non potreste più attribuire alla vostra macchina alcuna importanza.”
“Perché sei tornato, allora, se non hai fede nella nostra macchina?”
“Sono tornato per non morire. Non tutti hanno la fortuna di vivere in epoche di scoperte, rovesciamenti, innovazioni. E per parte mia, ho scoperto di non avere la statura dello scopritore.”
“Nessuno di noi ce l’ha” riconobbe il direttore dei lavori con voce consolante, porgendo al viandante un flacone d’olio, “Ma almeno, noi non abbiamo perso una vita a fingerci scopritori. Abbiamo preso fin da giovani la giusta misura delle nostre possibilità. Adesso lubrifica, ragazzo, è importantissimo lubrificare, altrimenti l’ingranaggio si inceppa.”
Improvvisamente la luce si spense, il direttore dei lavori imprecò, insultò i lavoranti per aver male eseguito le sue istruzioni, se la prese col viandante per non aver saputo oliare opportunamente l’ingranaggio. Restarono tutti appesi al metallo ancora caldo, senza sapere che fare, come risolvere la crisi, mentre la signora Marisa, chiuso il libro, rientrava in casa a dormire.