mercoledì 18 gennaio 2012

Quindici



Sono ormai quindici anni che, almeno due volte a settimana, vado a trovare mio fratello recluso nel suo appartamento. Se fa bel tempo passiamo qualche ora a parlare su in terrazzo, dove la vista domina l’intera città. L’unico spiraglio di aria aperta che mio fratello si concede è una boccata di polveri sottili: il resto delle ore le passa chiuso in casa. Io gli porto la spesa, gli tengo compagnia, e lui mi invita a salire in terrazzo a guardare le case lontane, a studiare come è cambiata la città negli anni. Non esce mai. Da quindici anni non ha più messo piede sulla strada. Mai una volta. Me le elenca tutte, le ragioni, compresa quella più importante, il che dimostra che psicopatico, mio fratello, non è.
Non vuole mai più incontrare la ragazza che l’ha lasciato. Questa è la vera ragione, da lui riconosciuta e analizzata in piena lucidità. Ha sempre sostenuto che sarebbe insopportabile, per lui, anche solo incrociarla per strada. Sa bene che è altamente improbabile imbattersi in lei in una città grande come la nostra, con il suo ordito di vicoli che si intrecciano fino alla riva del mare. Ma per quanto infinitesima sia questa probabilità, esiste pur sempre un esilissimo margine di rischio che mio fratello possa per caso un giorno vederla assorta davanti alla vetrina di un negozio, o peggio ancora, discutere per strada insieme all’usurpatore che gliel’ha portata via. Li ha visti una volta, quindici anni fa, i due amanti abbracciarsi all’ombra degli alberi del parco pubblico, complice una luna ormonale. Aveva urlato come una bestia straziata da un arma da fuoco, quella notte, mentre le correva incontro, dando così il tempo all’amante sconosciuto di scappare, e facendo scappare con lui anche l’amore di lei. Quella fu l’ultima notte in cui mio fratello fu visto metter piede fuori dalle mura di casa sua. Io, in questi anni, l’ho sempre aggiornato su alcuni eventi salienti della vita della sua prima e ultima donna, nel tentativo vano di convincerlo a dimenticarla.
Oggi, invece, salito in terrazzo, dopo tanti mesi di silenzio sull’argomento, gli ho riferito che la sua donna è tornata sola, senza nessuno, e mi sono permesso di alludere al fatto che lei avrebbe proprio bisogno di una nuova fiammata d’amore. L’ho invitato ad approfittarne, a riannodare i fili del passato. Quindici anni, visti dalla fine, non sono ancora un’eternità. Mio fratello però è decisamente testardo. Mi ha detto che è impossibile: lui conserva il ricordo di una donna giovane e avvenente, nel fiore degli anni; adesso lei sarà un fiore in via di appassimento, avrà perso l’incanto dei suoi occhi di un tempo, tre gravidanze avranno prosciugato quel suo corpo sodo, avrà smarrito il fascino nella lotta per la sopravvivenza. No grazie – mi ha detto – preferisco ricordarmela come l’avevo conosciuta. Alla nostra età i ricordi cominciano a pesare più delle esperienze vissute, e dopo queste parole si è rifiutato di discutere oltre.
Eccomi a casa, dunque, a dare la triste notizia a mia moglie. Niente da fare – le dico – mio fratello non vuole nemmeno prendere in considerazione l’idea di rivederti. Mentre lei si prepara ad andare a letto, la sento singhiozzare dietro la porta. Ci tocca andare avanti così, mia cara, tu a non darmi più piaceri, io a non darti dispiaceri.

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