Sono ormai quindici anni che, almeno due volte a
settimana, vado a trovare mio fratello recluso nel suo appartamento. Se fa bel
tempo passiamo qualche ora a parlare su in terrazzo, dove la vista domina
l’intera città. L’unico spiraglio di aria aperta che mio fratello si concede è
una boccata di polveri sottili: il resto delle ore le passa chiuso in casa. Io
gli porto la spesa, gli tengo compagnia, e lui mi invita a salire in terrazzo a
guardare le case lontane, a studiare come è cambiata la città negli anni. Non
esce mai. Da quindici anni non ha più messo piede sulla strada. Mai una volta.
Me le elenca tutte, le ragioni, compresa quella più importante, il che dimostra
che psicopatico, mio fratello, non è.
Non vuole mai più incontrare la ragazza che l’ha
lasciato. Questa è la vera ragione, da lui riconosciuta e analizzata in piena
lucidità. Ha sempre sostenuto che sarebbe insopportabile, per lui, anche solo
incrociarla per strada. Sa bene che è altamente improbabile imbattersi in lei
in una città grande come la nostra, con il suo ordito di vicoli che si
intrecciano fino alla riva del mare. Ma per quanto infinitesima sia questa
probabilità, esiste pur sempre un esilissimo margine di rischio che mio
fratello possa per caso un giorno vederla assorta davanti alla vetrina di un
negozio, o peggio ancora, discutere per strada insieme all’usurpatore che
gliel’ha portata via. Li ha visti una volta, quindici anni fa, i due amanti
abbracciarsi all’ombra degli alberi del parco pubblico, complice una luna ormonale.
Aveva urlato come una bestia straziata da un arma da fuoco, quella notte,
mentre le correva incontro, dando così il tempo all’amante sconosciuto di
scappare, e facendo scappare con lui anche l’amore di lei. Quella fu l’ultima
notte in cui mio fratello fu visto metter piede fuori dalle mura di casa sua.
Io, in questi anni, l’ho sempre aggiornato su alcuni eventi salienti della vita
della sua prima e ultima donna, nel tentativo vano di convincerlo a
dimenticarla.
Oggi, invece, salito in terrazzo, dopo tanti mesi
di silenzio sull’argomento, gli ho riferito che la sua donna è tornata sola,
senza nessuno, e mi sono permesso di alludere al fatto che lei avrebbe proprio
bisogno di una nuova fiammata d’amore. L’ho invitato ad approfittarne, a
riannodare i fili del passato. Quindici anni, visti dalla fine, non sono ancora
un’eternità. Mio fratello però è decisamente testardo. Mi ha detto che è
impossibile: lui conserva il ricordo di una donna giovane e avvenente, nel
fiore degli anni; adesso lei sarà un fiore in via di appassimento, avrà perso
l’incanto dei suoi occhi di un tempo, tre gravidanze avranno prosciugato quel
suo corpo sodo, avrà smarrito il fascino nella lotta per la sopravvivenza. No
grazie – mi ha detto – preferisco ricordarmela come l’avevo conosciuta. Alla
nostra età i ricordi cominciano a pesare più delle esperienze vissute, e dopo
queste parole si è rifiutato di discutere oltre.
Eccomi a casa, dunque, a dare la triste notizia a mia moglie. Niente da
fare – le dico – mio fratello non vuole nemmeno prendere in considerazione
l’idea di rivederti. Mentre lei si prepara ad andare a letto, la sento
singhiozzare dietro la porta. Ci tocca andare avanti così, mia cara, tu a non
darmi più piaceri, io a non darti dispiaceri.
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