mercoledì 7 marzo 2012

1/3/2012



Sono uscito presto la mattina, la testa piena di pensieri. Ho scansato macchine e giornali, incluso un toro intelligente che si era fermato col rosso. Volevo sbrigarmi e tornare in fretta a casa, perché – pensavo –  tanto oggi è come ieri. A casa avrebbe dovuto attendermi una notte sempre uguale, senza chitarre, da fine carnevale. E invece le chitarre si sono messe a suonare fin dal mattino, e suonavano il piano di Dalla-Monk, il sax di Dalla-Coltrane, la voce di Dalla Lucio, il clarino lunare, ma io non ne sapevo niente. Me l’ha detto una collega di lavoro, che te ne sei andato. Sei partito adesso, partito scalzo, partito in mutande. Ma come, partito? Non era il momento! Mettiamo che ti dovessi parlare, cosa debbo fare? Scriverti? Sono corso ad accendere il mio computer, il mio cuore, il mio televisore. Lì dentro è salvata l’ultima immagine che ho catturato di te, appesa a un muro tedesco insieme a quella di un altro mito della musica italiana (che legittimamente, se leggesse queste righe, dovrebbe concedersi una grattatina). Il concerto sarà cancellato, e quel treno Palermo-Francoforte non dovrai prenderlo più.
Poi a casa, finalmente. Questa sera è così strana e profonda che lo dice anche la radio – anzi, lo manda in onda. Ascoltatori telefonano, testimoniano, con commozione, con tenerezza. Le parole cadono tra le tante che diciamo, guarda per terra quante ce n’è. E intanto tu corri dietro al vento, e sembri una farfalla, e poi ragioni giusto, seguendo il volo degli uccelli e il loro ritmo lento, e forse hai già trovato dove puoi nascere e morire con l’odore della neve. Oppure sei triste anche tu, solo davanti a tutti i campanelli, così solo che ti metti a suonare. Qui nessuno ti può sentire, siamo tutti impegnati a riascoltare le tue canzoni, con affetto. E’ l’amore silenzioso dei pesci. E tu sei solo – ci pensi? – da solo, a guardare le stelle. Ma che andassero a cagare!
Resto qui, dunque. La notte sta morendo, ed è cretino cercare di fermare le lacrime ridendo. Con gli occhi tondi e neri e fondi, guardo ancora quella mia foto della tua foto incrociata sul muro tedesco, quel giorno in cui tutti gli altri italiani ti hanno visto in TV dirigere l’orchestra a Sanremo. Lassù, invece, ti ho visto solo io. Mi sembra come una confidenza, un piccolo privilegio, come se ti avessi conosciuto di persona. Poi la vita ti è passata accanto, con le mani ti ha salutato e ti ha fatto bye bye. E ora so per certo che non puoi staccarti da quel muro e poi venire giù. Con noi.
Allora semplicemente, caro amico, ciao a te, alla tua puzza di piedi, ai tuoi peli sulle mani.

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