Sono uscito presto la mattina, la testa piena
di pensieri. Ho scansato macchine e giornali, incluso un toro intelligente che
si era fermato col rosso. Volevo sbrigarmi e tornare in fretta a casa, perché –
pensavo – tanto oggi è come ieri. A casa
avrebbe dovuto attendermi una notte sempre uguale, senza chitarre, da fine
carnevale. E invece le chitarre si sono messe a suonare fin dal mattino, e
suonavano il piano di Dalla-Monk, il sax di Dalla-Coltrane, la voce di Dalla
Lucio, il clarino lunare, ma io non ne sapevo niente. Me l’ha detto una collega di lavoro, che te
ne sei andato. Sei partito adesso, partito scalzo, partito in mutande. Ma come, partito? Non era il momento! Mettiamo che ti
dovessi parlare, cosa debbo fare? Scriverti? Sono corso ad accendere il mio
computer, il mio cuore, il mio televisore. Lì dentro è salvata l’ultima
immagine che ho catturato di te, appesa a un muro tedesco insieme a quella di
un altro mito della musica italiana (che legittimamente, se leggesse queste
righe, dovrebbe concedersi una grattatina). Il concerto sarà cancellato, e quel
treno Palermo-Francoforte non dovrai prenderlo più.
Poi a casa, finalmente. Questa sera è così
strana e profonda che lo dice anche la radio – anzi, lo manda in onda. Ascoltatori
telefonano, testimoniano, con commozione, con tenerezza. Le parole cadono tra
le tante che diciamo, guarda per terra quante ce n’è. E intanto tu corri dietro
al vento, e sembri una farfalla, e poi ragioni giusto, seguendo il volo degli
uccelli e il loro ritmo lento, e forse hai già trovato dove puoi nascere e
morire con l’odore della neve. Oppure sei triste anche tu, solo davanti a tutti
i campanelli, così solo che ti metti a suonare. Qui nessuno ti può sentire,
siamo tutti impegnati a riascoltare le tue canzoni, con affetto. E’ l’amore
silenzioso dei pesci. E tu sei solo – ci pensi? – da solo, a guardare le
stelle. Ma che andassero a cagare!
Resto qui, dunque. La notte sta morendo, ed è cretino cercare di
fermare le lacrime ridendo. Con gli occhi tondi e neri e
fondi, guardo ancora quella mia foto della tua foto incrociata sul muro tedesco, quel
giorno in cui tutti gli altri italiani ti hanno visto in TV dirigere
l’orchestra a Sanremo. Lassù, invece, ti ho visto solo io. Mi sembra come una
confidenza, un piccolo privilegio, come se ti avessi conosciuto di persona. Poi
la vita ti è passata accanto, con le mani ti ha salutato e ti ha fatto bye bye.
E ora so per certo che non puoi staccarti da quel muro e poi venire giù. Con
noi.
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