mercoledì 16 maggio 2012

Fine stagione



Questo post non è un racconto. E’ un addio, o forse un arrivederci. Mi sono sempre dichiarato contrario alle azioni irreversibili – come sposarsi, fare figli, mandare e-mail alle persone che non devono leggerle, incidersi tatuaggi e cose del genere – e siccome finora sono riuscito a tener fede al mio proposito soltanto con riferimento ai tatuaggi e alle cose del genere, non voglio impegnarmi anche a considerare chiusa l’esperienza del blog. Diciamo, con un profilo più basso, che si chiude la stagione, come per le serie TV o per i programmi radiofonici. E a ottobre si vedrà.
Mi spiace per i lettori che tutti i mercoledì mattina negli ultimi mesi si svegliavano col sorriso e correvano in ufficio ad accendere il computer per leggere l’ultimo racconto con relativa illustrazione di quel misterioso blog di quello strano autore pieno di consonanti. Il fatto è che questi lettori fedeli e affezionati probabilmente esistono soltanto nel boschetto della mia fantasia. Le statistiche sul blog mi danno qualche indicazione. Ogni settimana il blog viene visitato dalla Germania (uno o due click), dalla Russia (da due a cinque click), dagli Stati Uniti (da due a cinque click). Ovviamente c’è anche qualche italiano che lo visita dall’Italia, ma i dati sull’Italia non mi consentono di individuare regolarità significative. Dal punto di vista del successo di pubblico, che dire? So che i lettori sono, anzi, siete pochi. Su sette miliardi di persone sparse per il mondo, tra cui circa sessanta milioni che capiscono l’italiano, io sono riuscito a catturare una manciata di click a settimana che si aggira dai cinque ai venti (qualcosa di più in settimane eccezionali). Si può a ragion veduta considerare che la visibilità di questo blog è pari a quella di uno sputo nell’oceano. Come parziale consolazione posso dirvi che lo sapevo fin dal primo post, che sarebbe finita così. Dal punto di vista del successo di critica, invece, le cose vanno meno bene: non ho mai letto un commento, mai un segno, mai un feed-back lasciato anche solo per sbaglio. Voi lettori, chi siete? Cosa portate? Sì, ma quanti siete?
In fondo li capisco, i lettori: neanche a me succede mai, dopo aver letto un libro o un racconto, di contattare l’autore e raccontargli la mia opinione o le sensazioni suscitatemi da quanto ha scritto. E quindi come posso pretendere che i lettori di queste specie di cartoline inutili che ogni tanto imbuco sul web perdano il loro tempo a comunicare se la lettura ha stimolato loro vomito o diarrea o mal di pancia? Ma allora che cosa mi ha spinto finora a scrivere, a insistere?
La risposta convenzionale che di solito danno gli artisti per farsi riconoscere come tali è: "io scrivo per me stesso". C’è qualcosa di vero, che condivido in prima persona: la pulsione, l’incontinenza creativa, è un ormone che ritorna ciclicamente e che va in qualche modo assecondato. Ma se si scrive per se stessi, che senso ha lanciare le proprie postille sul web? Perché non scegliere un canale alternativo, su cui sia facile magari tirare l’acqua dopo aver completato la creazione? In attesa di trovare una risposta, per il momento smetto di arrovellarmi, smetto di postare i post, e mi dedico ad altri passatempi ultimamente trascurati, come quelli elencati sul mio eloquente profilo.
A meno che il russo, l’americano e il tedesco non mi invitino a restare nella barzelletta, perché se no non fa più ridere.

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