mercoledì 2 maggio 2012

Effettivamente



Una fermata di una quindicina di minuti. Giusto il tempo di prendere una boccata d’aria aperta. Un grande e spettacolare parco si estende fuori dal treno. Scendo e passeggio sotto il sole e l’aria fresca, che rianimano la mia pelle sacrificata all’ombra del chiuso.
Sento delle voci lontane, là dietro quell’albero illuminato dal sole. Affretto il passo per andare a vedere. Mi sdraio sull’erba per non disturbare. Sono su un campo di denti di leone pronti a volar via al primo soffio di vento e a ogni mio spostamento. Resto immobile, quindi, una macchia nera in un quadro puntinato di bianco. Dei bambini stanno giocando, padroni di un parco giochi costruito su misura per loro. Giovani donne (madri? sorelle? parenti?) spingono le altalene, animano i giochi, e fanno ridere i loro bambini con gesti goffi, sguardi grotteschi, voci innaturali. Ridono i bambini, con la stessa facilità con cui piangono, e per ridere non hanno bisogno della parola, né di dovere afferrare alcun concetto. Basta il tono di voce a dare loro il senso del comico.
I bambini scoprono il mondo. Le loro accompagnatrici lo disvelano suggerendo stupori e sorprese. Guarda quell’uccellino tutto rosso! Prendi la foglia che cade! Guarda come sei arrivato in alto!... E i bambini, a questi suggerimenti, a queste aperture di sguardi sul mondo, ogni volta pare che stiano per rispondere: “Effettivamente.....”.  Sì, effettivamente il mondo è così: ricco di sorprese che stanno davanti ai nostri occhi, e che noi tranquillamente ignoreremmo, se qualcuno accanto a noi non ci stimolasse a scorgerle. Effettivamente, la curiosità non nasce da noi stessi, ma dal nostro modo di stare con gli altri. Il vuoto che con la solitudine si crea dentro di noi inevitabilmente inebetisce anche la curiosità, e l’apatia della curiosità a sua volta non fa che approfondire il vuoto.  Ripenso a una frase di Camus: per lottare contro l’astratto bisogna un po’ somigliargli. Come è maledettamente vera! Ma allora perché lottare? Perché farsi plasmare, inebetire, svuotare? I bambini giocano, si divertono, ridono e piangono, e questo vuoto non possono sentire. Non lo possono sentire neanche le loro madri o sorelle o parenti, riempite della presenza di quei piccoli indaffarati esploratori di vita, che le costringono, per potere comunicare con loro, a restare in stretto contatto con le sensazioni più semplici e meno contaminate dalle difficoltà del vivere.
Nessuno, in questo quadretto di stupori e curiosità, si accorge della presenza di una macchiolina nera in un prato puntinato di denti di leone. Nessuna madre dirige lo sguardo del bambino verso quello strano individuo che osserva, curioso sì, ma di una curiosità astratta, il roteare dei giochi e dei movimenti impacciati, come se questo roteare e questo impaccio fossero i veri oggetti del suo interesse. Nessuna madre o sorella o parente suggerisce al suo bambino, neanche quando l’uccellino rosso è volato via, di guardare quello strano contenitore di oggetti senza peso che affollano la mente e la costringono alla ricerca compulsiva di un ordine nel caos, una visione lucida nella nebbia.
La macchiolina nera è scomparsa, dispersa nell’aria come un dente di leone, e ha ripreso la via verso il treno.

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