mercoledì 9 maggio 2012

Tortilla


La platea sobbalzò sulle sedie vellutate della camera dei congressi quando vide Tortilla salire sul palco. Avevano appena parlato scattanti candidati premi Nobel, in competizione reciproca fondata non tanto sulla produzione di idee originali, quanto sull’abilità di fare vorticare nozioni alquanto ostiche con apparente nonchalance. Più incomprensibile era il loro intervento, più forti erano gli applausi. Erano intervenute anche eleganti signore pittate, fieramente impalate sui tacchi, il cui ruolo principale, però, consisteva nell’aggirarsi tra le sedie e nella hall durante il coffee break, con l’aria delle donne tutt’altro che ignote, ad arricchire le dotte conversazioni con la loro conturbante presenza.
La conferenza era dedicata alla misurabilità, concetto assai delicato, poiché, come tutti sanno, non tutto nel mondo reale è misurabile. Ma era appunto lo scopo di questo convegno cercare di prendere le misure corrette a problemi inediti, o almeno, poiché ciò non è possibile,  costringere i problemi inediti a entrare nelle vecchie misure, o almeno, poiché neanche questo è possibile, cercare di ritoccare le vecchie misure in modo che sembrino nuove di pacca e diano l’impressione di potere catturare e intrappolare i problemi inediti, o a limite, caso disperato ma non da escludere, rinunciare del tutto a parlare dei problemi inediti.
Fu così che la platea rimase profondamente turbata nel veder salire sul palco Tortilla, vestita di stracci e pezze, ma soprattutto obesa, sfrontatamente obesa. Mentre lei ridacchiava beffarda in attesa del microfono, non uno solo dei presenti poté evitare di pensare: e questa chi l’ha fatta entrare? Con tutti i sistemi di sicurezza fatti di chip magnetici, controlli di identità, metal detector, questa qui, con la sua borsa sospetta, è entrata senza che nessuno la fermasse?
Tortilla intanto era riuscita a catturare il microfono, si schiarì la voce, pretese il rispettoso silenzio che era stato concesso a tutti i precedenti interventi, e poi scandì, lentamente, le poche semplici parole:
“Non – avete – capito – niente.”
E restò fissa a guardare in faccia, uno ad uno, tutti i convenuti. Nessuno ebbe il coraggio di prendere la parola, e per un minuto intero regnò il silenzio e l’immobilità. Ognuna delle intelligenze riunite cercò di metabolizzare l’evento, di dare un significato alla presenza di quell’essere fuori contesto e fuori misura. Anche coloro che amavano parlare veloci per non farsi capire meglio, presi alla sprovvista, tacquero, e quel loro silenzio spiazzò i loro colleghi ben più dei loro pimpanti interventi. Li spiazzò perché tutti, per la prima volta, ebbero l’impressione di capirli davvero, adesso che tacevano, e di non averli capiti prima quando blateravano di misurazione, rigore, austerità, esattezza, precisione.
E se avesse ragione l’obesa? Se davvero fossimo tutti fuori strada? Fu un breve minuto in cui il dubbio si insinuò come un virus nella roccaforte di certezze autoreggenti. Poi arrivarono gli anticorpi. Tortilla fu allontanata dalla stanza, fu accompagnata in ascensore al piano terra, le fu sequestrato il pass elettronico e fu spedita fuori dalla Tower, a scorazzare per le strade come un volgare mortale senza voce.

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