mercoledì 1 febbraio 2012

Linguistica


Serata fiacca nel campus di York: nessun party dove andare a infrattarsi, nessuna iniziativa galvanizzante. John è assorto in contemplazione di un tappeto di appunti che ha squadernato sul tavolo della cucina in una delle case della comunità tribale di St. Lawrence Court. Arnaldo, quasi distrattamente, gli ha chiesto qual è l’oggetto dei suoi studi, e nella risposta ha potuto assistere allo scoccare di una scintilla, che ha illuminato di vita lo sguardo solitamente ittico dell’inglese.
“Studio linguistica” chiarisce John guardando amorevolmente i suoi papiri intrisi d’inchiostro.
“Bella materia. Il linguaggio è il primo e più importante prodotto intellettuale dell’uomo.”
“Precisamente, e io ne studio la sintassi universale. Stiamo creando un linguaggio che possa tradurre in simboli e connessioni logiche tutti i linguaggi ordinari di tutti i tempi.”
Arnaldo getta uno sguardo ai fogli sparsi sul tavolo. Sono tutti scarabocchiati con formule algebriche di varia natura. John interpreta lo sguardo perplesso di Arnaldo come un segno d’interesse, e decide di spiegargli di che cosa si tratta.
“Se vuoi ti faccio un esempio. Prova a dirmi una frase, anche se non significa nulla: io analizzo esclusivamente la struttura logica.”
“Vediamo un po’….. Appena lui le amalava il noema, a lei sopraggiungeva la clamise e cadevano in idromorrie, in selvaggi ambani, in sossali esasperanti”.
“Non ne hai una più semplice? Una frase da primi rudimenti del linguaggio, qualcosa che tutti gli uomini di tutti i tempi avrebbero potuto dire.”
Arnaldo pensa un attimo, e poi propone: “Questa pietra è più dura della mia testa”.
“Ottimo” esulta John, e scrive le parole esatte, in lingua inglese, su un foglio di carta bianco. Contempla poi la frase scritta, inarcando le sopracciglia e ruotando leggermente la testa in senso orario e in senso antiorario, poi riprende in mano la penna e si tuffa in una catena di passaggi. Nella riga sotto, la frase è subito trasformata in una stringa di simboli in connessione reciproca. Non soddisfatto, John ritrasforma i simboli in altri simboli, e mentre scrive spiega ad Arnaldo il significato logico di ciò che sta scrivendo, ma tenendo gli occhi fissi sul foglio, come se non stesse parlando ad Arnaldo, e infatti Arnaldo comincia a non seguirlo più, mentre assiste allo sviluppo grafico di un albero che si ramifica, e ogni ramo a sua volta si moltiplica in altri alberi dove John appende altri simboli, sempre spiegando a se stesso di che cosa si tratta, e così compaiono voraci operatori “lambda”, insettiformi funzioni di massimizzazione, disgustose macchie d’inchiostro inintelligibili. Conclusa la traduzione, John ha riempito un intero foglio A4. Medita ancora qualche secondo, ruotando la testa in senso antiorario, poi in senso orario. Alza infine gli occhi dal suo prodotto e mette a fuoco il volto instupidito di Arnaldo.
“Anch’io parlo così?” gli chiede Arnaldo.
“Tutti” risponde l’inglese con un gioioso gridolino affermativo.

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