Serata fiacca nel campus di York: nessun party dove andare a infrattarsi, nessuna
iniziativa galvanizzante. John è assorto in contemplazione di un tappeto di
appunti che ha squadernato sul tavolo della cucina in una delle case della
comunità tribale di St. Lawrence Court. Arnaldo, quasi distrattamente, gli ha chiesto
qual è l’oggetto dei suoi studi, e nella risposta ha potuto assistere allo
scoccare di una scintilla, che ha illuminato di vita lo sguardo solitamente
ittico dell’inglese.
“Studio linguistica” chiarisce John guardando
amorevolmente i suoi papiri intrisi d’inchiostro.
“Bella materia. Il linguaggio è il primo e
più importante prodotto intellettuale dell’uomo.”
“Precisamente, e io ne studio la sintassi
universale. Stiamo creando un linguaggio che possa tradurre in simboli e
connessioni logiche tutti i linguaggi ordinari di tutti i tempi.”
Arnaldo getta uno sguardo ai fogli sparsi sul
tavolo. Sono tutti scarabocchiati con formule algebriche di varia natura. John
interpreta lo sguardo perplesso di Arnaldo come un segno d’interesse, e decide
di spiegargli di che cosa si tratta.
“Se vuoi ti faccio un esempio. Prova a dirmi
una frase, anche se non significa nulla: io analizzo esclusivamente la
struttura logica.”
“Vediamo un po’….. Appena lui le amalava il noema, a lei sopraggiungeva la clamise e
cadevano in idromorrie, in selvaggi ambani, in sossali esasperanti”.
“Non ne hai una più semplice? Una frase da
primi rudimenti del linguaggio, qualcosa che tutti gli uomini di tutti i tempi
avrebbero potuto dire.”
Arnaldo pensa un attimo, e poi propone: “Questa pietra è più dura della mia testa”.
“Ottimo” esulta John, e scrive le parole
esatte, in lingua inglese, su un foglio di carta bianco. Contempla poi la frase
scritta, inarcando le sopracciglia e ruotando leggermente la testa in senso
orario e in senso antiorario, poi riprende in mano la penna e si tuffa in una
catena di passaggi. Nella riga sotto, la frase è subito trasformata in una
stringa di simboli in connessione reciproca. Non soddisfatto, John ritrasforma
i simboli in altri simboli, e mentre scrive spiega ad Arnaldo il significato
logico di ciò che sta scrivendo, ma tenendo gli occhi fissi sul foglio, come se
non stesse parlando ad Arnaldo, e infatti Arnaldo comincia a non seguirlo più,
mentre assiste allo sviluppo grafico di un albero che si ramifica, e ogni ramo
a sua volta si moltiplica in altri alberi dove John appende altri simboli,
sempre spiegando a se stesso di che cosa si tratta, e così compaiono voraci
operatori “lambda”, insettiformi funzioni di massimizzazione, disgustose
macchie d’inchiostro inintelligibili. Conclusa la traduzione, John ha riempito
un intero foglio A4. Medita ancora qualche secondo, ruotando la testa in senso
antiorario, poi in senso orario. Alza infine gli occhi dal suo prodotto e mette
a fuoco il volto instupidito di Arnaldo.
“Anch’io parlo così?” gli chiede Arnaldo.
“Tutti” risponde l’inglese con
un gioioso gridolino affermativo.
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